Domenica 12 maggio si è svolta a Roma l’assemblea che abbiamo intitolato
“Cambiare le forme della politica e della partecipazione per valorizzare le differenze e ricostruire la sinistra”
L’incontro è andato molto bene per quantità e qualità della partecipazione dimostrando che esiste una grande domanda e disponibilità ad affrontare insieme la crisi e cercare nuove soluzioni condivise.
Ci sono stati più di 20 interventi in una lunga mattinata tra cui: Stefano Ciccone, Fabio Bonanni, Giorgio Parisi, Giorgio Mele, Barbara Auleta, Maria Luisa Boccia, Vittorio Bonanni,Sergio Giovagnoli, Sergio Bellucci, Marco (non ci hai detto il cognome!), Letizia Paolozzi, Alberto Leiss, Fulvia Bandoli, Ileana Piazzoni, Carolina Zincone Lunetta Savino oltre a Corradino Mineo, Eugenio Cirese, Cristina Mosca e altri che hanno rinunciato al proprio intervento o di cui non abbiamo il nome.
La nostra proposta non è di un ingenuo richiamo alla partecipazione o di generica critica alle degenerazioni della politica.
Vogliamo proporre uno spazio e una proposta comune per contribuire alla discussione che si è aperta a sinistra. Abbiamo posto la necessità che la ricostruzione di una sinistra culturale e politica non passi per la sommatoria di frammenti o di parti di ceto politico teso all’autoconservazione ma sia una nuova esperienza politica aperta e larga, capace di sollecitare processi più ampi, di aggregare intelligenze, risorse culturali per un’elaborazione.
Crediamo che alla crisi dei partiti di massa non si risponda con i partiti dei notabili locali o dei leader televisivi né con il ritorno alla politica della sezione territoriale senza misurarsi con nuovi linguaggi, nuovi luoghi del conflitto, nuove domande di libertà e trasformazione.
Crediamo vada costruita una politica compatibile con i tempi di vita delle persone e capace di incontrare le tante delusioni domande, intelligenze oggi sempre più estranee ad essa.
È emersa la profondissima crisi del rapporto tra la politica e la vita delle persone, la solitudine e l’estraneità con cui molte e molti hanno vissuto la crisi di questi anni.
Ma la discussione ha mostrato anche la difficoltà a mettere insieme linguaggi, approcci, priorità differenti che non hanno luoghi comuni per capirsi, condividere pratiche comuni.
Già questo può essere un tema su cui riflettere insieme.
In quella occasione abbiamo provato a leggere la crisi della politica e dei partiti da un punto di vista specifico e cioè misurandoci con la pratica e la cultura politica del femminismo. Anche in questo caso abbiamo verificato quanto questo confronto sia fertile, ineludibile ma anche molto difficile, ostacolato da diffidenze e incomprensioni reciproche. Perché non si riesce a dare vita a relazioni politicamente significative tra donne e uomini consapevoli della differenza?
Sono emerse riflessioni su questioni programmatiche cruciali come la trasformazione dei lavori, del rapporto tra libertà norma e tecnologia , la trasformazione dell’immaginario e l’egemonia berlusconiana, la riconversione ecologica della società. La necessità, insomma, non solo di un programma di governo o opposizione ma di un orizzonte di trasformazione da ripensare a partire da una ricca elaborazione esistente e da uno sforzo di invenzione politica necessario.
Ma la domanda che poniamo è: chi e dove dovrebbe proporre una nuova capacità programmatica, come si riformano linguaggi e culture politiche?
Non c’è modo di produrre nuove proposte, integrare culture, creare senza avere luoghi comuni per farlo e modi per valorizzare differenze e punti di vista.
In questo primo incontro abbiamo soltanto iniziato a discutere.
Ora ci chiediamo e vi chiediamo come dargli seguito.
Vi inviamo in allegato un testo un po’ più articolato che può essere di base per incontri successivi, intanto a Roma ma anche in giro per l’Italia da dove vengono proposte e disponibilità.
Abbiamo detto che si apre un processo largo, un percorso di discussione, che c’è un campo largo di esperienze e proposte da mettere in relazione e nel quale vogliamo contribuire con un punto di vista.
In questo momento si moltiplicano gruppi, iniziative e proposte di discussione. Il rischio è che restino disperse e frammentate.
Pensiamo di proporre un confronto più stabile tra gruppi spontanei di discussione ed esperienza più consolidate .
Pensiamo di replicare questo tipo di incontri aperti in altre città dove ci siano gruppi disponibili a progettarli insieme.
Per chi fosse interessato può inviare una mail a nonaffoghiamo@gmail.com
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Il Testo
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“Cambiare le forme della politica e della
partecipazione per valorizzare le differenze e ricostruire la sinistra”
La costituzione di un governo di ”larghe intese”, la frattura nella
coalizione di centrosinistra e la crisi verticale del Partito Democratico,
rischiano di chiudere una prospettiva di cambiamento nel paese e rendono meno
credibile la prospettiva di un’alternativa, determinando una nuova situazione
carica di rischi.
Ma emerge anche una volontà di reazione: in molti e molte ci chiediamo
come ricostruire uno spazio per il cambiamento, come riaffermare un ruolo non
marginale per la sinistra e come riconnettere la politica con la domanda, spesso confusa, di
cambiamento.
Intendiamo contribuire alla
discussione in corso nella sinistra proponendo una riflessione aperta sul tema
della crisi dei partiti, sui modelli di partecipazione, sulle culture
politiche.
La sottovalutazione in passato di questi nodi ha contribuito al
fallimento di molti tentativi di aggregazione. Nessun nuovo processo a sinistra
può avviarsi, a nostro parere, senza un cambiamento profondo su questo terreno.
L’iniziativa dell’11maggio promossa
da Sel e la manifestazione indetta dalla FIOM del 18 maggio sono due primi
appuntamenti per un percorso che deve essere largo e partecipato.
Il governo di Pd-Pdl rischia di offrire una nuova centralità alla
destra e alimentare una deriva populista della domanda di cambiamento emersa
dal voto.
È necessario costruire una nuova
proposta politica ma al tempo stesso serve una discussione che vada oltre
l’attualità e che si misuri anche su come siamo arrivati a questo passaggio e
colga una dimensione più profonda della
crisi in atto.
La crisi che ha segnato il centrosinistra mostra in modo limpido il
nesso tra forme della partecipazione ed efficacia della proposta e
dell’iniziativa politica ma anche la sconfitta di forme e modi di pensare la
democrazia, la rappresentanza, la partecipazione.
Si tratta di un processo lungo e
profondo che non nasce oggi e che procede su due piani tra loro intrecciati:
crisi dall’alto delle democrazie strette dal tabù dei vincoli “tecnici”
nazionali e dei mercati, crisi verso il basso come incapacità dei partiti di
costruire una connessione con la società.
Non si tratta solo di crisi della
rappresentanza perché i partiti non sono solo strumenti per tradurre gli
orientamenti e gli interessi in rappresentanze parlamentari ma anche soggetti
che dovrebbero produrre analisi condivise, elaborare proposte programmatiche e
strategiche e spostare orientamenti diffusi.
Sono mancati i partiti come
esperienze plurali, capaci di produrre elaborazioni condivise e di
essere in relazione reciproca con quanto si muove nella società, di ascoltarla
e trasformarla.
Nel decennio passato abbiamo avuto a
sinistra una retorica che giustificava l’inseguimento del centro elettorale
assumendo che l’egemonia di destra nel
paese fosse un dato non modificabile e ponendo alla sinistra la necessità o di
una sua mutazione o di una sua alleanza subalterna con forze centriste: in ogni
caso una sua perdita di autonomia culturale. Ora l’esplosione del Movimento 5
Stelle e dell’astensionismo mostra la forzatura di quella lettura: il blocco di
centro destra, pur con un forte recupero, ha perso oltre otto milioni di voti.
Ma la risposta dominante alla crisi dei partiti è una nuova stretta e
l’appello al ruolo salvifico del Presidente della Repubblica con uno
scivolamento verso un presidenzialismo spurio. Gli
stessi che hanno proposto l’immagine di una crisi della politica dei partiti
anche come crisi maschile nella gestione del potere e dei conflitti, oggi
invocano l’intervento di un uomo che paternamente guidi le forze politiche
fuori dal disordine e le richiami alle loro responsabilità.
Ma il disastro del centro sinistra
rende ineludibile questo tema e può produrre una ripresa di protagonismo
diffuso per troppo tempo compresso dalla necessità dell’unità di facciata di
partiti e coalizioni. Un tabù si è irrimediabilmente infranto liberando
possibili energie. Le autoconvocazioni e le occupazioni dei circoli del PD, le
prese di posizioni di intellettuali ed esponenti politici mostrano questa
possibilità ma rischiano un precoce ripiegamento di fronte all’incalzare delle
”urgenze politico -economiche” e alla mancanza di una prospettiva.
D’altro canto la posizione assunta da
Sel sull’elezione del Presidente della Repubblica e conseguentemente sul
governo Pd - Pdl sotto l’egemonia “rigorista” imposta da Napolitano, offre un
riferimento al disagio in atto nella coalizione di centrosinistra e permette di
sviluppare una discussione più avanzata anche in relazione con la sinistra che
non si è riconosciuta nella coalizione “Italia bene comune”.
Non vogliamo affrontare questioni di
“linea politica” interne alle varie forze politiche ma nodi più larghi e
trasversali che incidono sulla costruzione di una proposta politica e sulla sua
credibilità.
Prima della crisi sulla scelta del
Presidente della Repubblica e del governo ci sono stati l’insuccesso elettorale
della coalizione di centrosinistra, il mancato ingresso in parlamento della
sinistra esterna alla coalizione e l’esplosione elettorale del Movimento 5
Stelle.
Perché la sinistra diversamente collocata non ha intercettato la
domanda di cambiamento?
È possibile che la mancata capacità
di interpretare la grande sofferenza che attraversava il Paese sia attribuibile
solo a una inadeguatezza delle proposte programmatiche? Molti punti di
programma di SEL o della lista Rivoluzione Civile e del M5S (dai temi
ambientali, alle questioni economiche, ai temi delle grandi opere o delle spese
militari) avevano elementi in comune.
Non è stata considerata credibile ed
efficace la presenza di SEL nella coalizione? Non è stata percepita come altro
dalla politica discreditata dei partiti, delle loro pratiche di presenza nelle
istituzioni e di autotutela del ceto politico? Certo ha pesato la mancata
costruzione di SEL e la sua inadeguatezza a produrre iniziativa politica.
La lista Rivoluzione Civile ha avuto
un risultato ancor peggiore. Il processo avviatosi con le assemblee di ALBA e
con l’iniziativa di “Cambiare si può” si è impantanato e ha perso la propria credibilità e capacità
attrattiva quando ha scelto la scorciatoia elettorale della sommatoria di sigle
affidandosi al personaggio di richiamo per sfondare nell’agone televisivo.
Nella campagna elettorale sono
mancate la presenza credibile di una coalizione in cui sviluppare un’iniziativa e la capacità di ascoltare il desiderio di
cambiamento e riaprire i canali tra società e politica istituzionale.
La domanda non è se si dovesse stare
nella coalizione. Ma come starci, come fare effettivamente della presenza di
una sinistra l’occasione per spostarne gli orientamenti e aprirla alla società.
Chi ha investito sulla costruzione della coalizione “Italia Bene comune” deve oggi interrogarsi
sulla natura di questa esperienza e sulla sua rottura.
Lo stesso strumento delle primarie, a
cui in passato si è affidato un ruolo quasi salvifico di allargamento della
partecipazione e di discussione aperta su proposte e culture politiche rischia
sempre più di ridursi a conta tra correnti o ricerca del personaggio più
telegenico.
La rottura della coalizione avviene
oggi da parte del PD per giungere a un accordo con il centrodestra. La sinistra
deve riproporre la propria autonomia politica come base per costruire una
coalizione coerente e credibile profondamente rinnovata .
La vicenda di SEL, nata affermando di
non voler fare un ennesimo partito, ma riaprire la partita, è esemplificativa
di una difficoltà più generale. La costruzione di un soggetto che non riproduca
i vizi tradizionali dei partiti e sia in grado di promuovere un processo di
aggregazione e trasformazione più largo non è un evento spontaneo. La partita
non si gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino tra gruppi dirigenti.
La costruzione di una soggettività
politica che non tenda alla propria autoconservazione ma sia capace di
sollecitare processi più ampi di sé e di aggregare intelligenze, risorse
culturali per un’elaborazione inedita, richiede cura, progettualità,
investimento.
Questo richiede non un di meno ma un di più di attenzione a come concretamente si costruisce
un’esperienza politica collettiva, contro le dinamiche spontanee di
riproduzione di poteri, di autoconservazione del ceto politico a. Questi vizi, mischiati a richiami retorici al
cambiamento hanno tolto credibilità alle proposte politiche in campo a
sinistra.
Alla crisi del partito di massa, non
si risponde con il partito dei notabili locali, con il trasferimento di
titolarità politica dagli organismi collettivi partecipati agli staff delle
rappresentanze amministrative locali. Ma, l’antidoto a questa degenerazione non può essere il ritorno alla
sola dimensione della sezione territoriale senza misurarsi con nuovi linguaggi,
nuovi conflitti, nuove domande di libertà e trasformazione.
Il berlusconismo ha permeato la
politica e la società. Nessuna nuova stagione politica è possibile senza una
innovazione culturale e una capacità di leggere la trasformazione avvenuta
negli orientamenti, i desideri, le paure, i modelli diffusi.
C’è stata la costruzione di forme di
organizzazione, di relazione con i movimenti e le associazioni, di produzione
di analisi e proposte condivise che valorizzassero le tante intelligenze e
competenze che avevano espresso interesse nella proposta di SEL o di Alba e di
Cambiare si può? Non abbastanza.
Eppure molte energie del femminismo,
del mondo ambientalista, delle associazioni per i diritti civili, del pacifismo
italiano, del movimento sindacale e dell’intellettualità di sinistra hanno offerto
un’interlocuzione diretta con queste esperienze.
Perché questa presenza non ha modificato forme, linguaggi e culture dei
partiti della sinistra?
Così semplici cittadini e cittadine
che avevano investito nelle primarie di coalizione in cerca di un nuovo
protagonismo non hanno trovato lo spazio per mettere in gioco il proprio
desiderio di partecipazione con la volontà di contare sulle scelte politiche
locali e nazionali.
In questa campagna elettorale il
disagio diffuso nelle forze della sinistra non ha trovato ascolto producendo
una perdita che, se pure non ha inciso quantitativamente sul risultato
elettorale, ne ha offuscato l’immagine e la capacità di iniziativa e di
interlocuzione con aree significative della “società attiva”.
Allo stesso modo esponenti del mondo
intellettuale e di una sinistra diffusa che avevano speso le proprie energie e
intelligenze nel percorso di Alba e di “cambiare si può”, paiono riprendere un percorso interrotto dopo la battuta d’arresto
durante la campagna elettorale.
C’è dunque un nesso tra forme di partecipazione, processi di
costruzione condivisa e qualità e credibilità della proposta politica?
Il tentativo di porre questo tema è
stato spesso rinviato, ha incontrato resistenze conservative e atteggiamenti
liquidatori per i cambiamenti che sollecitava. I soggetti politici in campo,
associano alla propria strutturale incapacità a costruire percorsi condivisi di
elaborazione delle proprie proposte politiche, delle proprie analisi, la
rimozione e demonizzazione dei conflitti interni.
La cultura del tradimento e della
fedeltà, il fastidio per la critica o le differenze tornano in formazioni che
non hanno nulla del modello di Partito in cui vigeva il centralismo
democratico.
Nel Partito Democratico, dopo lo
scenario disarmante del voto sulla Presidenza della Repubblica, si ripresentano
sia le accuse di tradimento a SEL che le minacce di espulsione per i propri
parlamentari non allineati.
Nel M5S l’autonomia del singolo
parlamentare e la sua possibilità di interloquire col pubblico viene vissuta
come incompatibile con la partecipazione al movimento.
Su questo tutta la sinistra ha
mostrato una debolezza culturale che produce una inadeguatezza politica di
gruppi dirigenti incapaci di misurarsi con una pluralità di punti di vista,
differenti priorità.
L’appello all’unità, intesa come
omogeneità dei soggetti politici, diviene paradossalmente ostacolo alla
costruzione di processi unitari e di dialogo tra forze diverse. Mentre una distorta idea del riconoscimento
tra differenze porta a una retorica che presenta il governo di larghe intese
come superamento delle delegittimazione reciproca. Ma la valorizzazione della
differenza come risorsa non chiede di annacquare i conflitti, di rendere opache
le differenti opzioni, di rimuovere lo scontro di interessi e visioni della
società e dunque non ha nulla a che fare con il governo con la destra.
Ma fuori dai partiti il disagio e la
delusione diventano invettiva rancorosa e le esperienze sociali e politiche che
crescono nella società non riescono a produrre linguaggi comuni, capacità di
relazione.
Al fondo delle difficoltà dell’oggi e
di ciò che è necessario ripensare per il domani c’è la sfida di ripensare la
politica come pratica di libertà e autonomia, come relazione, come
trasformazione e ricerca e non come esercizio di potere.
La resistenza al cambiamento,
l’incapacità di valorizzazione delle differenze sono frutto dell’attaccamento
al potere, della spinta auto conservativa che guida le pratiche del ceto
politico e avvelena una idea della di politica di cui dobbiamo liberarci.
Per pensare qualunque nuovo percorso politico collettivo è necessario
partire da una riflessione alla radice della politica e al suo rapporto con il
potere, le differenze e la libertà.
Abbiamo detto che si apre un processo
largo, un percorso di discussione, che c’è un campo di esperienze e proposte da
mettere in relazione nel quale vogliamo contribuire con un punto di vista.
In questo momento si moltiplicano gruppi, iniziative e proposte di
discussione. Il rischio è che restino disperse e frammentate.
Pensiamo di proporre un confronto più stabile tra
gruppi spontanei di discussione ed esperienza più consolidate.
Pensiamo di replicare questo tipo di incontri aperti in altre città
dove ci siano gruppi disponibili a progettarli insieme.
Chiediamo la vostra disponibilità a continuare inviandoci una email di
risposta a questa e di proporre iniziative e temi di discussione.