giovedì 9 maggio 2013

Cambiare le forme della politica e della partecipazione, valorizzare le differenze per ricostruire la sinistra - Domenica 12 maggio ore 10.30 presso la sala “Esquilino” via Galilei 53, Roma



La nascita del governo PD-Pdl, la frattura nella coalizione di centrosinistra e la disfatta del Partito Democratico, rischiano di chiudere una prospettiva di cambiamento nel paese e la credibilità di un’alternativa aprendo una fase carica di rischi. Ma è emersa anche una volontà di reazione: in molti ci chiediamo come ricostruire uno spazio di cambiamento e riaffermare un ruolo non marginale per la sinistra, come riconnettere la politica con la vita delle persone.
Crediamo sia necessario partire da una riflessione aperta sul tema della crisi dei partiti, sui modelli di partecipazione e sulle culture politiche. La sottovalutazione in passato di questi nodi ha contribuito al fallimento di molti tentativi di aggregazione e inizi mancati. 
Nessun nuovo processo a sinistra può avviarsi, senza un cambiamento nel modo di intendere la politica e costruire la partecipazione. 
Serve un confronto e lavoro comune anche a partire da scelte e collocazioni diverse. Serve una discussione che vada oltre l’attualità e si misuri anche su come siamo arrivati a questo disastro e colga una dimensione più generale e profonda della crisi in atto.
La crisi politica è una sconfitta nella gestione del potere e dei conflitti e delle forme e dei modi di pensare la democrazia, la rappresentanza, la partecipazione. La politica muore se schiacciata sotto la retorica della ineluttabilità dei vincoli dei mercati e il dogmi delle politiche di bilancio europee. Non è più possibile non vedere come questa crisi sia anche frutto di una cultura maschile del potere, della politica, del rifiuto delle differenze.
I partiti non sono riusciti ad essere in relazione reciproca con la società, di ascoltarla e al tempo stesso trasformarla, di essere esperienze plurali capaci di produrre elaborazioni condivise. 
La partita non si gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino tra gruppi dirigenti. Non serve la sommatoria di frammenti o di parti di ceto politico teso all’autoconservazione ma una nuova esperienza politica aperta e larga, capace di sollecitare processi più ampi, di aggregare intelligenze, risorse culturali per un’elaborazione inedita: un processo che richiede cura, progettualità, investimento. Alla crisi dei partiti di massa non si risponde con i partiti dei notabili locali o dei leader televisivi. Allo stesso tempo l’antidoto a questa degenerazione non può essere il ritorno alla politica della sezione territoriale senza misurarsi con nuovi linguaggi, nuovi luoghi del conflitto, nuove domande di libertà e trasformazione. La politica deve anche essere compatibile con i tempi di vita delle persone.
Ma la politica non è un deserto: anche in questi anni il femminismo, il mondo ambientalista, le associazioni per i diritti civili, il pacifismo, il movimento sindacale, le realtà di autogestione, il mondo dell’intellettualità e della ricerca hanno prodotto esperienze, pensiero, proposte, strumenti di analisi.
Ma anche le esperienze di movimento e associative hanno mostrato i loro limiti proprio nell’invenzione di linguaggi e modi di stare insieme oltre la logica della gerarchia, dell’appartenenza e del potere.
Oggi molti cittadini e cittadine mettono in gioco il proprio desiderio di partecipazione e la propria volontà di contare sulle scelte politiche locali e nazionali. 
Non è più possibile separare forme di partecipazione, processi di costruzione condivisi e qualità e credibilità della proposta politica.
Emerge qui la debolezza culturale di gruppi dirigenti che, incapaci di misurarsi con una pluralità di punti di vista, esprimono fastidio per la critica o le differenze. 
Ma la valorizzazione della differenza come risorsa non chiede di annacquare i conflitti, di rendere opache le differenti opzioni, di rimuovere lo scontro di interessi e visioni della società e dunque non ha nulla a che fare con il governo con la destra.
La resistenza al cambiamento, l’incapacità di ascolto sono frutto dell’attaccamento al potere, della spinta auto conservativa che non riguarda solo i leader nazionali ma guida le pratiche del ceto politico locale e avvelena un’idea della politica di cui tutti dobbiamo liberarci.
Per ripartire è necessario cambiare davvero.
Vogliamo ripensare la politica come pratica di libertà e autonomia, come relazione, come trasformazione e ricerca e non come esercizio di potere. 

Parteciperanno tra gli altri: Barbara Auleta, Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Gloria Buffo, Stefano Ciccone, Andrea Costa, Sergio Giovagnoli, Alberto Leiss, Pietro Masina, Enzo Mastrobuoni, Giorgio Mele, Mauro Palma, Monica Pasquino, Bia Sarasini, Claudio Vedovati, Francesca Vigiano, Carolina Zincone



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