giovedì 1 agosto 2013

Un contributo alla discussione in vista del congresso di Sel


Con questo testo vogliamo portare un contributo al congresso di SEL prima che si apra la discussione congressuale e il confronto sull’elezione dei gruppi dirigenti locali e nazionali.
Si tratta di testo in definizione,  aperto  a contributi e integrazioni  e ad altre adesioni che stiamo raccogliendo da varie città.
Riteniamo che la nostra discussione su SEL debba intrecciarsi con una riflessione più generale che riguarda la crisi dei partiti e della democrazia, che non separi il tema di come discutiamo, come costruiamo e assumiamo le decisioni dalla fase politica, dal ruolo che intendiamo svolgere.
L’esito e la qualità del nostro congresso non dipendono solo dalla nostra discussione ma da quello che sapremo costruire in questi mesi cruciali e al tempo stesso confusi. Ci pare prioritario capire cosa si costruisce, come si fa avanzare una proposta aperta di cambiamento che produca oggi pratiche diffuse, valorizzi un quadro ampio di interlocutori e incida sul dibattito che si svolgerà nei congressi dei partiti del centrosinistra e della sinistra; in definitiva, se sapremo costruire un’alternativa per il Paese o se ci dovremo limitare alla registrazione di un’assenza di alternative.
Una nuova fase.
Sinistra Ecologia Libertà ha scommesso sulla costruzione della coalizione “Italia bene comune” e oggi è all’opposizione del governo Letta. Si è aperta una stagione nuova, più difficile, e bisogna ricostruire un’ipotesi credibile di alternativa per il governo del Paese.
Come ripartire dopo la rottura del centrosinistra, il terremoto elettorale e il governo delle larghe intese?
Si tratta di questioni che interrogano/incalzano SEL ma coinvolgono tutta la sinistra.
Il voto sul Presidente della Repubblica e il governo delle larghe intese non sono una parentesi o una deviazione nazionale in un quadro di ottima salute del centrosinistra nei territori.
La rottura della coalizione non è frutto di un accidente ma dell’esito di un conflitto politico all’interno del PD e del centrosinistra che ha visto anche SEL come bersaglio (come con il voto su Prodi, con i 45 falsi voti per Rodotà che volevano far ricadere su SEL la responsabilità della mancata elezione del candidato Pd). Questa rottura è figlia di una precisa lettura della crisi e di una precisa collocazione italiana nei vincoli internazionali: porta con sé un’egemonia moderata sul centrosinistra, il ritorno di una vocazione maggioritaria e autosufficiente del PD, una risposta involutiva alla crisi dei partiti. È oggi esplicito il rischio che la crisi e l’indeterminatezza del PD abbiano un esito che accentua queste spinte e riduce il senso strategico della coalizione attribuendo alla sinistra un’aggregazione subalterna.
La crisi della coalizione “Italia bene comune”
Chi ha investito, come noi, sulla coalizione deve oggi interrogarsi sulla natura di questa esperienza e sulle ragioni della sua rottura: il modo con cui è stata costruita ne ha pregiudicato la capacità di tenuta e la credibilità.
Nelle primarie e nella campagna elettorale è mancata una coalizione capace di interpretare il desiderio di cambiamento, riaprire i canali tra società e politica e sviluppare un’iniziativa che le conferisse un profilo innovativo.
La mancata costruzione di SEL e la sua conseguente inadeguatezza a produrre iniziativa politica hanno reso meno credibile ed efficace la nostra presenza nella coalizione.
Lo stesso strumento delle primarie, che avrebbe dovuto allargare la partecipazione aprendo a proposte e culture politiche nuove, si è in buona parte ridotto (a livello nazionale e locale) quando a una conta tra correnti e quando alla ricerca del personaggio più efficace.
La sconfitta, consumatasi sul voto presidenziale, è nata dunque prima: non aver costruito una pratica realmente alternativa a questa deriva e una coalizione credibile ha compromesso una prospettiva di governo di cambiamento, lasciando spazio alle manovre interne al PD.
La costruzione di un’alleanza larga e capace di innovazione oggi non è un dato scontato ma un obiettivo da conquistare. Per questo, porre la necessità di una sinistra capace di autonomia politica e culturale non vuol dire relegarsi in una posizione “isolazionista”. Al contrario è un’operazione indispensabile per ricostruire una proposta credibile di governo di cambiamento. Una sinistra che oggi non scelga di mettere in gioco la propria autonomia nella costruzione di una ipotesi credibile di governo si condanna alla marginalità o alla subalternità.
Il congresso di Sel: un’occasione per tutta la sinistra
Il disastro del centrosinistra rende ineludibile questo impegno e ha prodotto una ripresa di protagonismo diffuso per troppo tempo compresso e sacrificato. Il voto sulla sfiducia ad Alfano mostra come il governo Letta sia costitutivamente soggetto al ricatto della destra, costretto ad accettare compromessi sempre più stridenti e incapace di produrre una politica economica di risposta alla crisi. Ciò espone il governo a continue tensioni: ieri la “ferita” della rendition al dittatore Kazako della moglie e della figlia di un oppositore, domani la sentenza della Cassazione su Berlusconi.
Le autoconvocazioni e le occupazioni dei circoli del PD, così come le prese di posizione di intellettuali ed esponenti politici, oggi mostrano che una strada diversa può e deve esistere.
Ma questa reazione rischia un precoce ripiegamento di fronte all’incalzare delle ”urgenze politico-economiche” in mancanza di una prospettiva.
Il congresso di SEL deve dunque promuovere un processo di aggregazione e di confronto, come abbiamo iniziato a fare con la manifestazione di piazza SS. Apostoli a cui non abbiamo dato sufficiente seguito con un’iniziativa e una prospettiva leggibile.
La cosa giusta
Nel voto sulla Presidenza della Repubblica, fino all’opposizione al governo PD-PDL frutto dell’egemonia “rigorista” imposta da Napolitano, SEL ha fatto la cosa giusta, recuperando ascolto e attenzione.
Ma si è scoperta al tempo stesso impreparata a questa nuova fase.
La posizione assunta da SEL offre un riferimento al disagio in atto nel centrosinistra per le scelte parlamentari del PD e permette di sviluppare una discussione più avanzata anche in relazione con la sinistra che non si è riconosciuta nella coalizione “Italia bene comune”. La nostra mozione contro gli F35, quella a difesa della legge 194, l’intergruppo per l’acqua pubblica: le scelte di SEL e la sua pratica parlamentare dimostrano come sia possibile e preziosa la funzione di una sinistra che non rinuncia alla propria autonomia ma si cimenta con la sfida del governo e la costruzione di un’alleanza larga. Questo profilo, queste iniziative politiche possono riconnettere rappresentanza parlamentare e popolo della sinistra. Non era scontato.
Ma a questo non corrisponde una capacità di iniziativa di SEL nel Paese, in grado di sostenere l’iniziativa parlamentare, di costruire processi più larghi. 
Per incalzare il governo e farne emergere le contraddizioni non basta una buona opposizione parlamentare, che rischia di ridursi a un innocuo gioco delle parti: è necessario costruire fatti reali, processi di aggregazione, presenza nei conflitti che si producono nel Paese.

A cosa serve Sel
Noi riteniamo che SEL debba lavorare alla costruzione di processi che portino alla costruzione di una nuova forza della sinistra, plurale, unitaria e innovativa. Non serve la sommatoria di frammenti o di parti di ceto politico per l’autoconservazione, ma una nuova esperienza politica aperta e larga, capace di sollecitare processi ampi, di aggregare intelligenze, risorse culturali per un’elaborazione inedita: un processo che richiede cura, progettualità, investimento.
Non vogliamo rinunciare a quella scelta fondativa che ha fatto di SEL una speranza per uscire dalla cieca e disperata rassegnazione delle “due sinistre”, quella pura che sta all’opposizione e quella compromessa che sta al governo. Governo e cambiamento vanno più che mai tenuti insieme.
Questo obiettivo è condizione per la promozione di una coalizione larga che sia capace di cambiamento. Crediamo ancora oggi nella necessità di costruire una coalizione di centrosinistra innovativa, unitaria, aperta, capace di uscire dal recinto dei partiti e valorizzare ciò che si muove al di fuori di essa. Chi ha considerato questo obiettivo poco realistico, dati gli orientamenti delle forze in campo, ha già fatto scelte diverse dalla nostra, ma anche l’idea di una sinistra fuori dal centro sinistra è uscita sconfitta.
In questa prospettiva il rapporto con il Partito Democratico, il suo insediamento sociale, la discussione che si sviluppa al suo interno restano un terreno decisivo. Al tempo stesso va sviluppato un dialogo con il Movimento 5 Stelle  e soprattutto con donne e uomini impegnate nelle  associazioni, nei movimenti, nella sinistra larga che non hanno creduto a sufficienza nella nostra proposta ma che oggi cercano una prospettiva credibile.
È una prospettiva che non vale solo per l’Italia ma deve essere capace di cambiare le politiche dell’Europa. Non con la semplice adesione a una o all’altra famiglia, ma essendo parte della discussione tra forze politiche europee e costruendo forme nuove di mobilitazione tra i cittadini europei.
Il movimento contro gli euromissili fu un esempio di grande unificazione delle mobilitazioni europee, allo stesso modo lo furono il movimento dei movimenti e il movimento contro la guerra.
È oggi necessario ricostruire una soggettività europea che cambi le politiche e il ruolo dell’Europa. Anche a noi a volte sfugge che le rivolte in Turchia, i 20.000 morti nel mediterraneo, parlano di noi e del ruolo che l’Europa vuole avere nel prossimo decennio: di fortezza chiusa, ripiegata su se stessa che smonta a poco a poco il suo sistema di diritti oppure di nuovo modello di integrazione tra sviluppo e diritti delle persone, capace di prospettare un’altra idea dello sviluppo.
Per cambiare politica bisogna cambiare la politica
SEL per la sua missione costitutiva di tenere insieme ragioni della sinistra e sfida del governo può svolgere un ruolo decisivo, ma è indispensabile che prenda sul serio l’altro suo elemento fondativo: l’ambizione di cambiare forme e linguaggi della politica.
A Firenze abbiamo detto di non voler fare un partito ma riaprire la partita: questo sforzo richiedeva più cura, progettualità, investimento, non meno.
Questo sforzo di ricerca, di innovazione e di cultura politica è stato messo da parte dopo il congresso di Firenze.
Senza attenzione a questo processo le derive spontanee, non contrastate, hanno alimentato un modo vecchio di essere partito: fondato sull’ossessione per l’equilibrio tra componenti senza una relazione con la discussione di merito, sullo schiacciamento sulla rappresentanza istituzionale e lo svuotamento dei precorsi partecipativi a discapito della capacità di discutere e stare nella società.
Si è trattato di una scelta fatta sulla base di una previsione e di una scommessa che potevano essere condivise ma non si sono verificate: l’ipotesi di un percorso a breve verso primarie che avrebbero rimescolato lo scenario politico superando tutti i soggetti in campo. Ma la partita non si gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino tra gruppi dirigenti. Se c’è una critica che crediamo di poter fare al gruppo dirigente largo di SEL è di non aver assunto per troppo tempo la responsabilità di costruire il partito come corpo vivo, aperto, democratico e partecipato, lasciando questo obiettivo ai richiami retorici. Ciò ci ha portato a essere troppo spesso percepiti come omologati alla politica di palazzo e ai suoi vizi.
Oggi quella sfida torna di attualità per la funzione che SEL deve svolgere: nata per trasformare la politica, riaprire i canali di comunicazione tra pratiche sociali, culture politiche innovative e forme organizzate, deve interrogarsi su fenomeni (dall’astensione al M5S) che traggono ragion d’essere da questo vuoto e dall’assenza di una proposta credibile che (anche) SEL avrebbe dovuto costruire.
Un soggetto che non riesce a discutere liberamente, che non è capace di produrre esperienze partecipate di scambio e riconoscimento reciproco non può produrre elaborazione innovativa e iniziativa nella società.
La sottovalutazione di questi nodi ha contribuito al fallimento di molti tentativi di aggregazione. L’incapacità a innovare e aprirsi ha impedito alla sinistra, variamente collocata, di intercettare la domanda confusa di cambiamento che ha dato vita al più grande terremoto politico della storia italiana.
Dalla capacità di SEL di affrontare questo nodo dipende la sua credibilità, la possibilità di svolgere un ruolo autonomo e al tempo stesso unitario, di raccogliere domande e intelligenze ma anche di interloquire con ciò che si muove nella società, di avere un’adeguata capacità di elaborazione. Lo sforzo di tenere aperto un difficile dialogo tra il centrosinistra, il partito democratico, i movimenti, le realtà associative e i comitati è possibile solo se abbiamo l’autorevolezza di farlo perché forti di un progetto innovativo e non per inerzia o strategie di autoconservazione.
La capacità di iniziativa politica di SEL, la sua spinta innovativa e credibilità dipendono dalla qualità del nostro modo di stare e di decidere assieme.
Ripensare la politica nella crisi della politica
Ma la difficoltà di SEL è dentro una crisi più generale: ai partiti tradizionali sono stati sostituiti i partiti prede dei notabili locali, i partiti televisivi, i partiti personali; sono mancati i partiti come esperienze plurali, capaci di produrre elaborazioni condivise in relazione con quanto si muove nella società. Si tratta di un processo lungo e profondo che non nasce oggi e che procede su due piani tra loro intersecati: crisi dall’alto delle democrazie strette dal tabù dei vincoli “tecnici” nazionali e dei mercati e il loro uso ideologico, crisi verso il basso come incapacità dei partiti di costruire una connessione con la società, di ascoltarla e trasformarla.
La crescita drammatica dell’astensione e l’esplosione elettorale del Movimento 5 Stelle sono segnali su cui la riflessione  è stata troppo velocemente archiviata.
L’antidoto alla degenerazione dei partiti non può essere la semplificazione populista ma nemmeno il ritorno alla politica della sezione territoriale senza misurarsi con nuovi linguaggi, nuovi luoghi del conflitto, nuove domande di libertà e trasformazione. Per questo non abbiamo alcuna nostalgia della burocrazia, della gerarchia e dell’autoconservazione dei vecchi partiti.
È una riflessione che va ben oltre SEL e che deve produrre un’alternativa al conflitto sterile tra politicismo e antipolitica.
Non si tratta di una semplice crisi della rappresentanza, perché i partiti non sono solo strumenti per tradurre gli orientamenti e gli interessi in rappresentanze parlamentari ma anche soggetti che dovrebbero produrre analisi condivise, elaborare proposte programmatiche e strategiche, spostare orientamenti diffusi nella società.
La nostra non è una vacua petizione di buone intenzioni sull’eterno tema del rinnovamento della politica. Si tratta di cogliere il carattere cruciale di un nodo politico, almeno su due aspetti:
-          la crisi dei partiti e della democrazia sono il terreno su cui avanzano risposte sul piano politico e istituzionale che prefigurano una involuzione, populista o tecnocratica della qualità della nostra democrazia.
-          nessun nuovo processo a sinistra può avviarsi, a nostro parere, senza un cambiamento profondo su questo terreno.
La crisi che ha segnato il centrosinistra mostra in modo limpido il nesso tra forme della partecipazione ed efficacia della proposta e dell’iniziativa politica, ma anche la sconfitta di forme e modi di pensare la democrazia, la rappresentanza, la partecipazione.

Una discussione libera tra di noi, senza caricature e anatemi.
La distinzione caricaturale tra chi vorrebbe un soggetto politico aperto e chi un partito chiuso e “strutturato” mostra dunque tutta la sua infondatezza e sarebbe un elemento di igiene nella nostra discussione e un atto di onestà intellettuale se venisse rimossa.
Il fastidio per la critica o le differenze, le forme di liquidazione o rappresentazione caricaturale quando non di sospetto verso le posizioni critiche, che troppo spesso emergono anche nella nostra discussione, sono indice di una debolezza culturale e di una incapacità a misurarsi con una pluralità di punti di vista. Sono parte di questo stesso arretramento di cultura politica la degenerazione del conflitto in ostilità e inimicizia reciproca, l’insofferenza dei gruppi dirigenti per chi esprime posizioni critiche, l’invettiva dei militanti sul web verso i parlamentari e dirigenti, la denigrazione dei gruppi dirigenti altrui. Facciamo troppo spesso appello retorico alla valorizzazione delle differenze senza una reale capacità di ascolto.
La politica delle donne ci ha mostrato un’idea non distruttiva ma creativa del conflitto, in cui l’esito non è far fuori dialetticamente o fisicamente l’altro, e la cui assunzione non chiede quindi di annacquare i conflitti e rendere opache le differenti opzioni.
Ridurre la valorizzazione delle differenze a retorica porta o alla sua rimozione nella nostra pratica quotidiana o, peggio, a confondere il valore delle differenze con la rimozione dello scontro di interessi e visioni della società.
Alla logica della “fedeltà”, al principio della delega, alla gestione proprietaria dei partiti, preferiamo il confronto, l’ascolto della critica e la valorizzazione dell’autonomia e della ricerca libera: per questo riteniamo urgente una riflessione tra noi.
Sel deve dunque cambiare pelle se vuole essere utile.
Al congresso dovremo fare uno sforzo creativo e di rinnovamento senza timori, senza subordinare il confronto a logiche di schieramento interno e senza cadere in letture liquidatorie, semplicistiche del grande disagio cresciuto in questi mesi. Per farlo è necessario anche definire regole limpide.
Servono modelli organizzativi e costruzione degli organismi locali che garantiscano l’autonomia di SEL dalla dimensione istituzionale, procedure trasparenti per definire le candidature di SEL a livello nazionale e locale, l’incompatibilità tra incarichi amministrativi e ruoli di direzione politica, limiti di spesa certi per le campagne elettorali dei candidati e obbligo di pubblicizzazione dei loro bilanci negli organismi locali.
Servono garanzie per l’autonomia e la libertà di SEL da gruppi di potere e interessi economici: la costruzione dei circoli deve corrispondere a effettive presenze sul territorio, l’adesione a SEL deve essere una scelta libera, individuale e verificabile, va garantita la massima trasparenza del tesseramento, l’adesione ai circoli e la partecipazione alle loro attività deve essere libera e pubblica. Non devono esistere circoli costituiti in base all’appartenenza ad aree politiche ma circoli di SEL. Al tesseramento online, di cui va garantito il carattere effettivo e individuale delle adesioni, va affiancata la possibilità di aderire a SEL nei circoli posti nei quartieri, delle università, nei luoghi di lavoro.
Vanno aperti spazi certi e permanenti di discussione, garantendo una frequenza minima della riunione degli organismi dirigenti e delle assemblee di circolo e federazione e procedure di loro convocazione anche a disposizione degli iscritti. Vanno definiti i diritti degli iscritti e forme di coinvolgimento e partecipazione anche di chi non aderisce a SEL ma vuole dare il proprio contributo.
Vanno costruite e rafforzate sedi e modalità di confronto partecipate in cui anche il conflitto possa essere libero, limpido e creativo e contribuire ad una elaborazione condivisa, contro il sequestro di ogni spazio di confronto. Vanno superate pratiche che premiano il conformismo a scapito della ricerca libera, del confronto aperto come condizione essenziale in una comunità plurale, aperta, inclusiva e solidale.
È necessario impegnarci attivamente per ridurre i vincoli culturali che impoveriscono la nostra vita democratica, cambiare i tempi, forme e linguaggi della politica che determinano una selezione tra chi partecipa e chi no, imponendo un modello rapporto tra politica e vita delle persone non inclusivo.
Va ripensato il nostro modo di organizzarci: tra i modelli tradizionali di partito e le degenerazioni dei partiti attuali è necessario valorizzare il radicamento nei territori ma anche l’impegno tematico, la relazione con i movimenti, il superamento di linguaggi e modelli organizzativi gerarchici.
SEL deve essere un luogo effettivamente aperto in cui chi sceglie di impegnarsi, anche se privo di cariche istituzionali o di appartenenze di gruppo, possa contare e decidere, SEL deve essere strumento per costruire una pratica collettiva nella propria scuola, nella propria università, nella città, nella propria esperienza di rapporto con la precarietà, deve essere anche strumento per capire insieme agli altri il mondo e per cambiare la propria vita.
Perché tutto questo non resti adempimento burocratico statutario o vuota evocazione proponiamo che venga convocato, prima del congresso, un seminario nazionale su questi temi che coniughi la riflessione sulle regole a una riflessione su forme della politica, forme della partecipazione, linguaggi e culture politiche.
Una politica che si emancipi dalla seduzione del potere
Ma oltre le regole è necessario produrre una critica dello statuto della politica stessa - il suo fondarsi sulla separatezza tra pubblico e privato, sulla gestione del conflitto in base alla logica amico-nemico, su modelli di appartenenza basati su gerarchia, delega, rimozione delle differenze, su una concezione separata e sacrificale della militanza, su un’idea del potere maschile che ormai non corrisponde più nemmeno alla vita degli uomini e al loro desiderio di libertà.
Avviamo una discussione sulle forme della politica: le sue pratiche, i suoi linguaggi, il suo carattere inclusivo, le forme di conflitto, partecipazione e costruzione delle decisioni e degli indirizzi.
La crisi politica è una sconfitta nella gestione del potere, dei conflitti, delle forme e dei modi di pensare la democrazia, la rappresentanza, la partecipazione. Quello che è entrato in crisi è un sistema di cui non possiamo non vedere i nessi con le rappresentazioni stereotipate di ruoli e attitudini dei sessi e le disparità di potere tra donne e uomini.
In questi anni il femminismo, il mondo ambientalista, le associazioni per i diritti civili, il pacifismo, il movimento sindacale, le realtà di autogestione, il mondo dell’intellettualità e della ricerca hanno prodotto esperienze, pensiero, proposte, strumenti di analisi, spesso a loro volta viziati da limiti di linguaggio e capacità di stare insieme oltre la logica della gerarchia, dell’appartenenza e del potere. Va ripensata la vita dei partiti e vanno pensati i partiti come sguardo critico sui limiti e l’inadeguatezza di quello che si produce nella società. In questo dialogo e sguardo reciproco è il nostro ruolo. I partiti non sono riusciti a essere in relazione reciproca con la società e non hanno saputo riconnettere la politica con la vita delle persone.
Non si tratta di generiche petizioni di principio ma di questioni che tornano oggi prepotentemente in superficie, mostrando la crisi e i limiti di un’idea della politica che si ammanta di nuovo ma resta vecchissima. La resistenza al cambiamento, l’incapacità di ascolto sono frutto dell’attaccamento al potere, della spinta autoconservativa che non riguardano solo i leader nazionali ma guidano le pratiche del ceto politico locale e avvelenano la politica.
Vogliamo ripensare la politica come pratica di libertà e autonomia, come relazione, come trasformazione e ricerca, non come mero esercizio di potere.

Barbara Auleta, Stefano Ciccone, Enzo Mastrobuoni, Carolina Zincone.

per aderire o commentare inviate una email a ciccone@romascienza.it, barbara@auleta.it