mercoledì 21 dicembre 2011

SELasinistra... una proposta del gruppo RIPRENDIAMOCI LA POLITICA di Roma e del circolo SEL di Salerno MIRIAM MAKEBA

Serve ancora la politica? Serve ancora la sinistra?
Noi pensiamo di si e vogliamo costruirla, insieme.

Contro l’attacco alla democrazia e il massacro sociale portato avanti dal Governo Berlusconi è cresciuta una nuova domanda di partecipazione che ha avuto come protagoniste la società civile e i movimenti. Attraverso le mobilitazioni dello scorso anno, dalle fabbriche al mondo della conoscenza, dalla campagna referendaria alle primarie, dalle elezioni in tante città alla crescita dell’indignazione, sono emerse grandi risorse che, nella nuova stagione dei governi tecnici e del dominio “naturale” della finanza, rischiano di non essere colte.
Oggi, l’idea che sta accomunando la componente più moderata e quella più radicale delle coalizioni di centrosinistra é che la fedeltà alle proprie idee implichi la rinuncia ad assumere responsabilità di governo. Questa strada condanna le ragioni della sinistra alla marginalità e cancella ogni possibilità di aprire una nuova fase di trasformazione che accolga la sfida del governo per incidere sui processi e sulle condizioni di vita delle persone.
La proposta di SEL sollecita molte speranze, anche perché afferma che si può realizzare una politica utile, capace di trasformare, ascoltare, immaginare, inventare ed includere, che recuperi un rapporto con la vita delle persone. Le primarie per l’individuazione dei candidati sono state il simbolo di una irruzione delle intelligenze e delle domande che crescono nella società per trasformare la politica dei partiti e per far saltare le barriere che li hanno troppo spesso separati. Oggi questo messaggio deve articolarsi in pratiche quotidiane che prima e oltre il momento elettorale reinventino forme di  partecipazione e contestino l’ineluttabilità del dominio della finanza.
La proposta di Sinistra Ecologia Libertà rappresenta una straordinaria occasione di cambiamento per il Paese, nonostante le tante difficoltà e pericoli. Personalismi, vecchi vizi di autoconservazione del ceto politico, pratiche politiciste, limiti nella trasparenza delle forme di gestione e di costruzione delle scelte e degli orientamenti sono i rischi che abbiamo dinnanzi e che dobbiamo contrastare, per realizzare una politica utile, capace di incidere, ascoltare, immaginare, inventare ed includere. Come? Innanzitutto mettendoci in ascolto. Dobbiamo aprire porte e finestre, perché esiste una grande “politicità” nella società che si organizza nelle realtà locali, nelle associazioni e nelle relazioni quotidiane.

SE LA SINISTRA è un’iniziativa che nasce dal desiderio di incontrarsi, dialogare e fare ricerca comune tra circoli e gruppi tematici di SEL, associazioni, comitati, collettivi e altre esperienze che producono senso condiviso, strumenti di analisi, proposte, pratiche di trasformazione. Perché crediamo che la politica sia anche questo: costruire senso condiviso intercettando letture plurali della realtà, elaborare parole comuni per dare voce a bisogni, domande e frustrazioni, guardare ai movimenti e a quello che si muove nella società: riconoscere la propria non autosufficienza è la prima condizione per coinvolgere, incuriosire, ritrovare il piacere di stare assieme e costruire una “buona politica”.
Partecipa e creiamo occasioni su tutto il territorio nazionale, per condividere contenuti e pratiche per sedimentare esperienze politiche e riflettere, insieme, sui loro limiti. Ricominciamo a discutere. Vogliamo praticare il confronto, sostenere la pluralità delle interpretazioni e intersecare le letture, le esperienze, le generazioni e le culture politiche di sinistra. Vogliamo sollevare interrogativi e dubbi, esplicitare le tensioni e le contraddizioni all’interno di una sinistra che si divide senza spiegare il perché. Solo dialogando e riconoscendo le differenze che ci attraversano possiamo, paradossalmente, riunirci.

In questa nuova stagione abbiamo molto da discutere e da capire insieme:

1)      Il governo della destra ha mostrato la sua crisi, l’autonomia politica sembra definitivamente aver lasciato il passo all’autorità della finanza, come costruiamo una proposta radicale, che sia vicina ai movimenti, alla ricchezza delle esperienze sociali, e sia credibile nella prova di governo?
2)      In questo nuovo scenario, come ci prepariamo a vincere per governare ed a governare per trasformare?
3)      Da questi valori - e da quali parole chiave che li riassumono - dobbiamo ripartire, nel concreto della nostra attività politica quotidiana?
4)      Che “forma” deve assumere SEL, per ascoltare e misurarsi con l’altro, nell’era liquida dei social network e della precarizzazione delle vite?

Ragioniamo assieme su quali strumenti e buone pratiche devono caratterizzare SEL, nata con l'ambizione di andare oltre le tradizionali forme partito, perché essa diventi uno spazio in cui tutti e tutte possano sentirsi a casa, con la stessa cittadinanza, uno spazio nel quale la curiosità reciproca per le differenti culture politiche sia più forte delle appartenenze, uno spazio in cui trasparenza e partecipazione non siano parole vuote, ma condizione per costruire la qualità della politica.

Avviamo un percorso:
DISCUTIAMO, raccogliamo idee, proposte e riflessioni attraverso le risorse web, attraverso incontri e assemblee, per avviare un percorso di conoscenza e approfondimento.

Una proposta di : Circolo SEL Miriam Makeba di Salerno, Riprendiamoci la politica di Roma
Per partecipare, proporre e contribuire SCRIVERE UNA EMAIL A:  selasinistra@gmail.com


venerdì 16 dicembre 2011

I TANTI NEMICI DAL VOLTO NON UMANO di Monica Pasquino

Quando mi riferisco al volto, non intendo solo il colore degli occhi, la forma del naso, il rossore delle labbra. Fermandomi qui io contemplo ancora soltanto dei dati; ma anche una sedia è fatta di dati. La vera natura del volto, il suo segreto sta altrove: nella domanda che mi rivolge, domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e una minaccia.
Emmanuel Lèvinas 

Di recente, in Europa, non solo in Italia, si è assistito all’intensificarsi di manifestazioni violente e collettive di razzismo. Le cronache di queste vicende si assomigliano tutte.
In ogni storia c’è un nemico dal volto non umano, l’ombra che mette in pericolo la forma di vita “comune” e che viene colpita:le persone straniere, migranti, zingare, mendicanti, omosessuali e transessuali. Il processo di stereotipizzazione, che arriva fino alla disumanizzazione dei soggetti subalterni o minoritari, è la precondizione che rende socialmente accettabile gli atti di ingiustizia, violenza e discriminazione verso queste (ed altre) soggettività. A pochi giorni dall'attacco al campo rom di Torino, la strage dei due senegalesi a Firenze, Samb Modou e Diop Mor, è solo l’ultimo episodio archiviato nel libro delle cronache.

Tutte le cronache si assomigliano anche per un altro aspetto: i fatti che raccontano avvengono in un clima di paura alimentato dai processi europei di illegalizzazione. I Paesi Membri dell’Unione Europea portano avanti da anni politiche che rendono sostanzialmente impraticabile, per la maggior parte dei migranti, la possibilità di diventare immigrati regolari: vite che diventano “clandestine” attraverso un atto legale e che sono continuamente evocate come pericolo sociale. Oltre che essere privi di diritti e tutele concrete, minacciati costantemente dall’espulsione, i clandestini si affacciano sul mercato del lavoro come soggetti vulnerabili e ricattabili, svolgendo mansioni che i nativi giudicano pesanti o umilianti.

Tutte le cronache si assomigliano. Soprattutto qui in Italia, dove da tempo nei discorsi istituzionali, politici e mediatici, si rinforza il frame immigrazione = invasione = minaccia per l’identità collettiva. La difesa del nostro posto di lavoro e dei nostri privilegi, la retorica della sicurezza e del decoro, la preservazione della cultura nazionale e dell’identità dell’Europa “cristiana-liberale-democratica”: questi sono i leitmotiv che producono senso comune e contribuiscono alla (ri)produzione della determinazione fenotopica del nemico dello Stato-nazione da mettere al bando. Abbiamo già assistito troppe volte anche all’apparizione del fantasma dello stupro e all’uso strumentale delle donne per rafforzare narrazioni che contrappongono il “noi” al “loro” e per promuovere atteggiamenti sospettosi quando non dichiaratamente razzisti.
Dando sostanza alla figura del migrante come nemico, la reiterazione nella scena pubblica del discorso sulla sicurezza contribuisce alla criminalizzazione dei cittadini stranieri. Dal momento che il discorso pubblico concorre a costituire i soggetti sociali e gli eventi storici tanto quanto le basi materiali o economiche, esso fornisce la giustificazione per una politica intransigente di controllo dei flussi alle frontiere e per l’instaurazione di uno stato di sorveglianza e mina le fondamenta del principio di eguaglianza e del diritto di libero movimento degli individui.

Come accade in ognuna di queste cronache, la banalità del male affonda le sue origini anche in un inquietante, basilare paradosso: il soggetto normale – e quindi universale - tutelato e garantito in quanto tale, si sente legittimato a colpire l’altro, il suo competitor, per difendere e riconfermare la propria (unica) universalità. Le aggressioni si realizzano in modo individuale (parole, atti oltraggiosi, violenze), con livelli ovviamente diversi di responsabilità e gravità, ma non solo, anche attraverso forme di controllo politico, attraverso la diffusione su larga scala di descrizioni stereotipanti, attraverso l’introduzione di norme discriminatorie, che alimentano nuove terribili storie e nuove  vergognose cronache.

La paura di perdere diritti e denaro è reale, ma è generata dalla governance finanziaria e dal capitalismo globale, dalle politiche populiste, dalla crisi economica, non certo da soggetti che, in tutti i sensi, vivono ai margini della società. Per proporre un’alternativa a questa narrazione, ben interpretato dalle destre e spesso anche da segmenti importanti del centro-sinistra, dobbiamo ribaltare il piano: non più piccole eccezioni al diritto e alle politiche universalistiche, rivolte alle singole minoranze, che creano un piano di discriminazione positiva, ma una politica pubblica che sia rivolta a un soggetto plurale, aperto, che non si presume più maschio, nativo, eterosessuale e che non si arroghi più il diritto di ferire in quanto uomo “normale”.

Ogni vittoria - sul versante legislativo e sul versante delle politiche pubbliche – ottenuta da una cosiddetta minoranza” travalica il proprio senso particolare se non rimane indipendente e isolata, ma diventa parte di una critica fondamentale e generale all’approccio universalistico.
Quando una minoranza per il riconoscimento dei propri diritti e per difendere la propria esistenza, sta lottando per essere considerata come appartenente alla comunità umana e per questo deve esplicitare il portato rivoluzionario del suo obiettivo: attuare una trasformazione sociale del significato stesso di persona, estendere i limiti attraverso i quali si articola il concetto dell’umano.

Lottiamo per il pieno diritto di cittadinanza di  tutt* e apriamo la categoria dell’umano a nuove declinazioni.
Restiamo umani, direbbe un vecchio amico.


lunedì 12 dicembre 2011

Genere e politica nel tempo della crisi: lavoro, diritto, democrazia

Un incontro per approfondire e discutere i temi al centro della crisi mettendo a confronto saperi, esperienze e generazioni diverse di donne e uomini.

Introduce: Gemma Azuni (Capogr. Gruppo Misto -SEL Roma Capitale)

Relatrici: Fulvia Bandoli (SEL), Cathy La Torre (avvocata), Antonella Picchio (economista)

Intervengono: Caterina Botti (filosofa), Monica Crinnà (Pres.Comm.Elette Roma), Martina Giuffrè (antropologa), Paola Masi (Casa I. delle donne), Valentina Rinaldi (SEL), Claudio Vedovati (Maschile Plurale), Monica Pasquino (Riprendiamoci la politica).

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Di fronte alla crisi delle forme di rappresentanza e dello stesso statuto fondativo della politica come luogo del governo della società, nella stretta del discorso economico, il contributo del sessuato riemerge come una risorsa, una chiave di pensiero e azione dalla quale ripartire.

Affronteremo in particolare i seguenti nodi tematici:

- Produzione e cura: lavoro, lavori, i beni, le vite, gli individui, la società. Quali politiche pubbliche?
- Il lavoro in Consiglio Comunale, le politiche comunali e le direttive europea: cosa possiamo fare da elette, nelle istituzioni locali, per contrastare l’esclusione sociale e combattere le discriminazioni di genere, razza, etnia, religione, età ed orientamento sessuale?
- Critica della democrazia, la presenza femminile esclusa storicamente dalla politica, quando vi accede ne mostra i limiti, i paradossi e le contraddizioni.
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Evento a cura del Gruppo Misto -SEL ROMA CAPITALE, in collaborazione con Associazione di promozione sociale Scosse, Collettivo Riprendiamoci la politica e Fondazione CRS.



venerdì 25 novembre 2011

PASSI AFFRETTATI

RIPRENDIAMOCI LA POLITICA

partecipa alla giornata di mobilitazione e sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, invitando associate e associati, amiche e amici a partecipare gratuitamente allo spettacolo di DACIA MARAINI, sabato pomeriggio in Campidoglio:

SABATO 26/11/2011 - h 16.00
presso la Sala Protomoteca del Campidoglio 

(Piazza del Campidoglio, 55, Roma)

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che ricorre il 25 novembre,

Dacia Maraini presenta il suo testo di letture teatrali:

"Passi Affrettati"
Testimonianze di donne ancora prigioniere della disciriminazione storica e famigliare.

Ingresso gratuito
PASSI AFFRETTATI di Dacia Maraini

Passi Affrettati è  un progetto di educazione ai sentimenti di grande impatto emotivo. La formula scelta è quella di "teatro di parola". Ho scelto e rielaborato drammaturgicamente 8 storie vere di violenza contro le donne. Queste storie provengono da tutto il mondo e mi sono state fornite da Amnesty International. Attraverso la scrittura teatrale, emergono con misura ma senza risparmio le molteplici sfaccettature della violenza usata contro le donne nei più diversi contesti geografici e sociali. L'anima di questo progetto è la lettura scenica del testo, seguita da un dibattito, al quale sovente sono presente. Questa mise en lecture risulta apparentemente una sfida antieconomica per gli stabili e per le imprese teatrali italiane ed è poco diffusa nel nostro Paese. Tuttavia la reazione del pubblico, e in particolar modo della fascia più giovane che poco frequenta il teatro, è formidabile: nel teatro, negli auditoria, ovunque la lettura scenica venga eseguita cala il silenzio totale.

martedì 25 ottobre 2011

Una riflessione deopo l'assemblea del 21 ottobre... e la proposta di rivederci il 3 novembre

L’assemblea che abbiamo promosso per venerdì 21 ottobre, presso la città dell’altra economia si intitolava “Dopo il 15 ottobre - Riprendiamoci la parola, a viso scoperto”.
Ha visto una partecipazione forse imprevista date le nostre forze. Chi ha il vizio da assemblea ha contato un centinaio di persone che hanno scelto di venire ad ascoltare e parlare. Donne e uomini di generazioni e culture politiche diverse, molti fuori dalla politica attiva, molti impegnati in organizzazioni sindacali, collettivi studenteschi, comitati e associazioni, anche direttamente impegnati nel coordinamento 15 ottobre.
Forse anche perché questo incontro tentava di riempire un vuoto. Dopo la giornata di sabato 15, disastrosa e al tempo stesso segno di una grande potenzialità, in molti e molte ci siamo trovati davanti ai video in rete e ai blog senza occasioni collettive di confronto e condivisione. Anche qui si rivela un limite delle organizzazioni promotrici della giornata. Tra i pochi altri appuntamenti l’assemblea degli “accampati” a piazza S.Croce in Gerusalemme e l’assemblea in contemporanea alla nostra dell’area di Action.
Possiamo quindi dire di essere molto soddisfatti/e. Eppure, dopo l’incontro, era diffusa una sensazione di insoddisfazione e frustrazione per la difficoltà a farne emergere le ragioni, la fastidiosa sensazione di dover ricominciare ogni volta da capo a spiegare che nonviolenza non vuol dire rinuncia, moderatismo, passività, pacificazione dei conflitti.
È stato certamente anche per un nostro errore: la giusta volontà di ascoltare e di costruire uno spazio di condivisione di vissuti di chi sarebbe venuto ci ha portanti a non esplicitare in modo netto un punto di vista, una riflessione, un approccio.
E invece, proprio nell’incontro alla città dell’altra economia, abbiamo concordato che di questo c’è bisogno: mostrare un’alternativa possibile, riproporre una critica delle dinamiche gerarchiche, una memoria di pratiche che hanno tentato di costruire un nesso tra mezzi e fini, tra la propria idea di società e il proprio linguaggio, il proprio modo di decidere e di lottare, offrire un punto di vista che esca dalle secche della discussione su violenza si o no e o delle analisi dietrologiche o strategiche sul risiko degli scontri.
Insomma non basta una posizione un po’ “equilibrista” di rifiuto della violenza come “inopportuna” o in quanto “espressione di un percorso non condiviso”. È necessaria una nuova radicalità senza complicità.
Non ci basta riconoscere, come è vero, che la messa in campo di forme di lotta violente impedisce l’allargamento della mobilitazione e favorisce le campagne di stampa che cancellano le ragioni della mobilitazione.
Vogliamo che i nostri gesti, le nostre parole, siano capaci di una maggiore radicalità, che rompano con il conformismo al militarismo, al virilismo, all’estetica del gesto atletico che, non a caso, si riproducono negli stadi.
La giornata di sabato ha segnato la fine dell’illusione di poter giocare con la rappresentazione simbolica della violenza senza subirne l’egemonia, .
È finita l’ipocrisia di considerare la scelta della violenza come “una pratica tra le altre” e lasciare che qualcuno “si sfoghi” a margine del corteo. La messa in gioco della violenza ha sempre l’effetto di sovrapporsi e pregiudicare altre pratiche, per minacciare l’incolumità di tutti e per stravolgere il terreno di impegno e le priorità condivisi e dunque non basta scegliere di non praticarla: va ingaggiato un conflitto politico e culturale per criticarla.
Il rifiuto di dividere in buoni e cattivi è una strategia ipocrita che sfugge alla necessità di esprimere un giudizio politico.
Prima ancora della dimensione materiale è una sconfitta la subalternità all’immaginario della violenza: l’estetica del gesto contro la costruzione del processo, l’uniformità delle “falangi” schierate e in divisa contro la pluralità e l’esplicitazione dei conflitti, la delega al leader o agli “esperti” contro la costruzione di pratiche partecipate, la conquista delle prime pagine che occulta la pluralità delle storie e delle proposte in campo, la riduzione del conflitto a scontro tra due muri che, al tempo stesso, nega lo spazio per esplicitare differenze e conflitti all’interno del proprio campo.
Il richiamo alla retorica del tradimento, la logica dello schieramento, la negazione d ci fanno quasi più orrore dei cassonetti bruciati perché sono esplicita rinuncia al conflitto, e alla pluralità.
Le frasi che abbiamo scelto: “se non posso ballare non è la mia rivoluzione”, “trasformare la rabbia in politica” volevano proprio sottrarsi a quell’immaginario. Rifiutare la retorica un po’ paternalista della rabbia come giustificazione alla violenza, rifiutare i riti un po’ lugubri di chi ama giocare alla guerra, rifiutare di delegare “a chi se ne intende e a chi se la sente” di determinare gli spazi in cui manifestare.
Rifiutare la specularità e la subalternità con l’avversario: il ministro che traccia la linea rossa da penetrare, lo schieramento di polizia da fronteggiare…
Rifiutare l’altro luogo comune, emerso anche durante l’assemblea, di una violenza come parte della natura umana. Certo: nelle pulsioni umane ci sono la rabbia, l’aggressività… Ma proprio la forma in cui si esprimono sono frutto della cultura, e di modelli imposti. Abbiamo imparato a non accettare come “naturali” ruoli, attitudini, pulsioni. Il testosterone, insomma, non è un destino che rende gli uomini succubi dell’adrenalina che si diffonde in occasione degli scontri, così come per le donne non è un destino l’attitudine alla cura.
Le donne che in armi affrontano virilmente lo scontro non sovvertono questo schema ma ripropongono in forme aggiornate la vecchissima prospettiva della omologazione. E non le preferiamo alle donne manager.
Il vuoto politico si mostra non solo nell’assenza di occasioni di discussione sul trauma vissuto da chi ha manifestato ma anche nell’assenza di iniziative politiche concrete per giungere all’accertamento delle responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico. Abbiamo per questo deciso di intraprendere un’ iniziativa nei confronti del Prefetto, del questore, del Sindaco di Roma e del Ministero degli Interni per l’inosservanza dei protocolli previsti e per la mancata messa in atto delle azioni a tutela dei manifestanti, dei cittadini e dei beni comuni della città.
Nell’incontro abbiamo detto quindi che le forme politiche non sono un accessorio ma un contenuto. Che la violenza o la disponibilità allo scontro non sono sintomo di radicalità e che la radicalità non consiste nel pensare impossibile il cambiamento ma al contrario nel riaffermare che la politica può e deve pensare la trasformazione.
In questo senso la discussione su forme e linguaggi del conflitto è strettamente legata a una cultura politica che non separa conflitto sociale e governo. Pensare un conflitto condannato alla rivolta senza sbocchi e un governo come  prospettiva che rinuncia alla trasformazione e si rassegna alla gestione vuol dire introiettare la sconfitta.
Abbiamo, insomma molto da fare:
• provare a produrre materiale che si sforzi di rendere il senso di una discussione che non ha niente a che fare con strategie e tattiche di piazza ma con l’idea di socialità e di libertà che vogliamo costruire , provare a costruire un dialogo con chi, nell’università, nelle scuole, nelle vertenze tematiche e territoriali oggi si interroga su quello che è accaduto e su come non ripiegarsi nello schema: violenza, repressione, lotta alla repressione.
• giungere ad un altro appuntamento in cui approfondire ed esplicitare meglio gli spunti emersi
• ascoltare cosa si produce nei luoghi che tentano di sperimentare linguaggi e pratiche innovative
• proporre un’iniziativa che pretenda una risposta dai responsabili istituzionali del disastro di Roma.
Forse le nostre forze non sono sufficienti a questo scopo. Forse l’assunzione di missioni velleitarie è parte di un’idea della politica da superare. Anche tra noi, poi, è necessario allargare responsabilità, partecipazione condividere e costruire autorevolezza.
I tanti indirizzi email lasciati durante l’incontro, i messaggi ricevuti prima e dopo li consideriamo una domanda ma anche una risorsa.

mercoledì 19 ottobre 2011

A partire dal nostro comunicato invitiamo tutti Venerdì 21 ottobre alle 17.30 presso la SALA CAE, CITTA' DELL'ALTRA ECONOMIA - Largo Dino Frisullo (mattatoio di Testaccio) - a vediamoci, per condividere considerazioni, vissuti ed emozioni, a partire da quel che è accaduto in piazza il 15 ottobre.

http://www.facebook.com/event.php?eid=128942720542821

martedì 18 ottobre 2011

Il nostro punto di vista sul 15 ottobre - Riprendiamoci la parola e lottiamo solo e sempre a viso scoperto

Il mondo festeggia in corteo la forza di un movimento di protesta contro la crisi, mentre Roma è avvolta dalla paura e dalla violenza.

Oggi dopo le violenze in piazza, è più difficile di ieri rilanciare al mobilitazione, allargarla e farne sentire le ragioni. Ma noi non vogliamo farci togliere la parola e lo spazio per sviluppare la nostra lotta.

Eravamo in piazza insieme agli studenti, ai lavoratori e lavoratrici, ai precari/e, ai migranti, con i nostri corpi e con i nostri bisogni per sostenere che non siamo noi a dover pagare le scelte i costi economici, sociali e politici di chi ha determinato la crisi.
Eravamo in piazza per portare la storia e le ragioni delle nostre lotte contro un sistema di governo neoliberista che produce soprusi e ingiustizie in ogni parte del mondo e colonizza i nostri desideri, la nostra socialità, le nostre vite. Siamo dentro questo movimento, indignati, nauseati da questo governo, esausti per la precarizzazione delle nostre vite, eppure, anzi, proprio per questo, eravamo a volto scoperto, con le mani occupate a dare volantini, che spiegavano le nostre ragioni e la nostra mobilitazione, e a distribuire adesivi sui quali avevamo scritto: “Trasformiamo la nostra rabbia in politica”, “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione” e “Una rivolta nonviolenta contro il neoliberismo”.

Ma il fumo nero appiccato da pochi ha cancellato il volto e le ragioni di tanti e tante che insieme manifestavano la propria opposizione e proposta alternativa.

Come noi, la maggioranza del corteo, persone che hanno scelto di esprimere la loro radicalità con la politica e non con la violenza, è stata resa invisibile dall’azione di gruppi organizzati e militarizzati.
Questi gruppi hanno attraversato direttamente il corteo che li ha contestati, attaccando non solo le forze dell’ordine, le banche e altri “simboli del capitalismo”, ma anche i manifestanti stessi.
La voce di centinaia di migliaia di donne e uomini che in coro urlava “fuori, fuori, fuori” dal corteo e “scopriti la faccia” è ciò che ci consolava, mentre camminavamo con lo striscione ormai arrotolato e la tachicardia ancora palpabile. Allo stesso modo ci ha aiutato lo stare assieme, dentro una situazione surreale e incontrollabile per noi. Le relazioni politiche sono anche questo: stringersi le braccia, condividere emozioni e ansia, sistematizzare i pensieri e dal dolore uscire con un’analisi in cui ognuno porta un pezzetto di avanzamento.

Non è un segreto, noi siamo contrari/e senza se e senza ma alle forme di lotta violente e militarizzate, alla sciocca confusione tra guerriglia urbana e resistenza di massa. Rivendichiamo culture di sinistra, dal femminismo alla nonviolenza che fanno della critica al militarismo e alla gerarchia una base della propria idea di società e di politica.

Chi ha giocato alla guerriglia, usandoci come scudo, ha trovato la grave e criminale gestione della piazza di Maroni e Alemanno. Le forze di polizia, che dovrebbero garantire la libera espressione del dissenso, hanno attaccato una piazza, caricato e lanciato fumogeni ad altezza d’uomo, caricando anche pezzi del corteo pacifici e ignari. Non hanno isolato – prima, durante e mentre - i gruppi dal volto coperto e le mazze, che a Roma hanno agito indisturbati. Sul percorso del corteo sono stati lasciati cassonetti e auto che invece, in questi casi, sono abitualmente rimossi.
Chi visibilmente era orientato ad esercitare violenza ha attraversato tutto il corteo indisturbato, ostacolato soltanto dalle grida di dissenso dei manifestanti. E chi si è trovato ostaggio in Piazza S. Giovanni ha subito cariche indiscriminate e irresponsabili.
Qualcuno ha deciso che gli obiettivi da difendere a ogni costo erano i palazzi e i simboli del potere finanziario, mentre il diritto a manifestare era una pedina sacrificabile. Le cittadine e i cittadini che manifestano per questo governo non meritano protezione. Si è lasciato che andasse così, perché il giorno dopo l’attenzione fosse focalizzata sulle fiamme e sui vetri rotti piuttosto che sul grande risultato di partecipazione?
Non è parte della nostra storia affidarci alla polizia né ci interessano le discussioni complottiste e dietrologiche su manovre e complicità.

Noi costruiamo un movimento e su questo vogliamo invitare a una riflessione: in qualità di manifestanti è sui manifestanti che vogliamo concentrarci, interrogando passioni e comportamenti che attraversano un movimento plurale e complesso.
Quello che abbiamo visto ieri a via Cavour, al Colosseo, a piazza San Giovanni erano gruppi organizzati che si muovevano agilmente e in modo ordinato per scatenare la guerriglia. Erano esterni allo spirito della piazza, infatti sono stati a coro unanime apostrofati dal corteo stesso, come abbiamo detto. Però non possiamo evitare di chiederci quanto le loro pratiche e il loro immaginario che riduce il conflitto a scontro, che scambia la radicalità con la violenza siano ancora diffuse. E ci chiediamo le ragioni della difficoltà ad agire un conflitto, franco, aperto nel movimento su pratiche e modalità di comportamento misere e dannose.
Ci chiediamo quanto pratiche militariste e machiste segnino culture politiche che sono dentro questo movimento. Ci riferiamo a quelli che tollerano le violenze e dall’interno del movimento e non fanno di tutto per ostacolarle, a chi un po’ cinicamente dice “questi ragazzi fanno bene a spaccare le vetrine delle banche e a incendiare i suv”; a chi paternalisticamente “comprende” che la rabbia, la disperazione di una generazione senza futuro possa esprimersi picchiando e gettando bombe carta; a quelli che fanno a gara a chi è più sborone e macho.

Parliamo di realtà e gruppi che oggi hanno atteggiamenti differenti, che a loro interno sono attraversati da diverse posizioni, e tuttavia condividono un immaginario che subisce il fascino della violenza, per i quali quando aumenta la rabbia bisogna “alzare il livello dello scontro” e mettere a ferro e fuoco la città.

Noi crediamo invece che la rabbia, la radicalità e la violenza non siano sinonimi tra loro e che la politica debba trasformare quella rabbia e quella indignazione nella costruzione collettiva di un’idea alternativa di cultura, di vita e di società.

Negli incontri pubblici che hanno preceduto il 15 ottobre, più volte ci è stato detto che “parlare di pratiche politiche e delle forme di lotta è un modo per dividere il movimento, che contano solo i contenuti”. Non siamo mai stati d’accordo: la questione delle pratiche è squisitamente politica. Oggi, dopo il conflitto esplicito tra la larga parte del corteo e i “plotoni” militarizzati che lo hanno attraversato questo è ancora più evidente. Il modo in cui si manifesta incide sulla prospettiva della mobilitazione, sulla sua cultura.

Chi mette in atto la guerriglia, non permette a chi ha altri linguaggi (sfilare, ballare, scioperare, cantare, occupare, pedalare... ) di manifestare. La violenza non è “una pratica tra le altre”, perché non permette ad altre forme di lotta e linguaggi di esprimersi, perché impone a tutti e tutte le proprie regole. Noi eravamo in piazza a volto scoperto, con uno striscione in mano, con bambini/e al seguito, con gli adesivi colorati e, in più momenti del corteo, ci guardavamo allertati avanti e indietro, per poi essere bloccati, dietro agli scontri, ai nostri lati via di uscita bloccate. Non siamo riuscite/i ad arrivare a Piazza San Giovanni: è stata così rispettata la nostra scelta di manifestare pacificamente?
Ci sono pratiche politiche che ne escludono altre. Eppure, nelle mobilitazioni, pratiche diverse convivono una accanto all’altra, senza reciproca interrogazione. Quasi per paura di far valere le differenze. E’ ora che ricominciamo a parlare di questo apertamente, liberi dalla retorica del tradimento e della fedeltà, dalla logica dello schieramento. Proviamo a farlo.
Vediamoci, per condividere considerazioni, vissuti ed emozioni, a partire da quel che è accaduto in piazza il 15 ottobre.


martedì 11 ottobre 2011

Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione !!

Lettera aperta sulla mobilitazione internazionale del 15 OTTOBRE 2011
 
Le donne e gli uomini del collettivo Riprendiamoci la politica invitano tutt* a partecipare alla manifestazione di sabato e si associano ai molti appelli lanciati in questi giorni dai gruppi e dalle associazioni nonviolente e femministe.
Saremo in piazza, assieme a student*, lavorat*, immigrat*, con i nostri corpi, con i nostri diritti, con i nostri bisogni e le necessità quotidiane, per sostenere che non siamo noi a dover pagare le scelte economiche, sociali e politiche di chi ha determinato la crisi.
La crisi non è un evento naturale e le risposte non sono obbligate e inevitabili. La crisi non è frutto di un complotto ma di un modello di consumo e di produzione insostenibili, dal governo neoliberista della globalizzazione che produce soprusi e delle ingiustizie in tutte le parti del mondo e colonizza i nostri desideri e la nostra socialità.
Parteciperemo al corteo romano raccogliendo l’invito di promosso da Antagonismogay, Laboratorio Smaschieramenti, MIT Movimento Identità Transessuali e Sexyschock, a costruire uno spezzone femminista e GLBT, perché condividiamo le pratiche partecipative e le forme di mobilitazione che caratterizzano queste culture politiche; perché siamo lontan* dai militari e da chi li imita, perché non ci riconosciamo in chi scende in piazza col volto coperto, lancia bottiglie, incendia cassonetti e sfonda i cordoni della polizia.
Queste modalità di piazza sono politicamente controproducenti e culturalmente subalterne: rimandano ai modelli virilistici e ai più beceri stereotipi machisti che ogni giorno combattiamo; sono omologanti e irrispettosi della irriducibile singolarità e della libertà di ognun*.
Le forme di lotte e i linguaggi che mettiamo in campo sono parte della nostra politica, della nostra cultura.
Vogliamo trasformare la rabbia in politica, esprimere la nostra creatività e autonomia.
La radicalità non si misura sulla disponibilità allo scontro in piazza. Le storie e le esperienze di lotta dei movimenti femministi, nonviolenti e GLBT ci dicono che la radicalità delle proprie ragioni e del proprio desiderio di trasformazione si misura sulla capacità di produrre proposte innovative rispetto all’ordine delle cose, smascherando logiche di dominio, norme e regole date per “naturali” e per questo invisibili.
Non abbiamo solo da urlare la nostra rivolta; abbiamo da far valere le nostre buone ragioni, le nostre storie e culture, la nostra alternativa al neoliberismo.
 
Riprendiamoci la politica, perché se non possiamo ballare, non è la nostra rivoluzione.
 
Appuntamento sabato 15 alle 14 in Piazza Esedra- Roma- Per adesioni e comunicazioni: riprendiamocilapolitica@gmail.com; smaschieramenti@inventati.org
 

venerdì 30 settembre 2011

Festa SEL SALERNO

GIOVEDI 6 OTTOBRE sala ROSSI via A. Balzico 10

Ore 18,30 proiezione video “Cara SEL ti parlo”
Ore 19,00 Presentazione del “MANIFESTO DEGLI INTENTI: VERSO IL
FORUM DELLA SINISTRA SALERNITANA” tavola rotonda:
modera: Eduardo Scotti, giornalista “La Repubblica”
Claudio Fava, coordinamento nazionale SEL;
Massimo Angrisano;
Giuseppe Cacciatore, prof. Università Federico II;
Pino Cantillo, prof. Università Federico II;
Gerardo Rosania;
Monica Pasquino e Carolina Zincone, associazione “Riprendiamoci la politica”

Giuseppe De Cristofaro, segretario SEL provincia di Napoli;
Luigi Giannattasio, ANPI Salerno
Nicola Landolfi, segretario provinciale PD;
Ciccio Musumeci, segretario provinciale PRC
Rappresentanti di sindacati, movimenti, associazioni, collettivi studenteschi.
Alla fine del dibattito Claudio Fava ricorderà la figura di MIRIAM MAKEBA
scomparsa il 9/11/2008 a Castelvolturno.

giovedì 28 luglio 2011

un posto sicuro? SULLA NOSTRA IDEA DI SICUREZZA E LIBERTA'

In questi giorni, il Comune di Roma sta distribuendo un depliant intitolato:
“Vademecum per la mia sicurezza.
La sicurezza è un lusso che noi donne vogliamo permetterci”.

Al suo interno il Sindaco consiglia alle donne che escono da sole di non camminare in strade buie, di non indossare abiti succinti e appariscenti, di tenere il telefono a portata di mano, di evitare i parchi e le stazioni di notte.
Nonostante il brutto tempo, oggi, siamo in piazza, donne e uomini di orientamento sessuale diverso, per dire che noi abbiamo un’altra idea di sicurezza e libertà.

Diciamo sì alla sicurezza senza CIE (Centri di identificazione e di espulsione), che non promuove provvedimenti xenofobi e non diffonde una cultura del sospetto, della paura e dell’omofobia. Perché non sono gli immigrati a minacciare i corpi delle donne. Perché la violenza maschile contro le donne non è una questione di ordine pubblico, non si combatte alimentando politiche razziste e di insicurezza o militarizzando le strade. Perché la retorica dell'emergenza e della diffidenza verso lo straniero nasconde la "normalità" della violenza degli uomini contro le donne in famiglia: l'aggressore ha le chiavi di casa.

Diciamo sì a un’idea di libertà laica, responsabile e aperta alla pluralità delle culture, delle storie e alla diversità di sesso, genere e orientamento sessuale. Per questo vogliamo una Legge contro l’omofobia,  che é stata ieri bocciata in Parlamento, e siamo contro la Riforma Tarzia dei consultori. Per questo non vogliamo più che nella nostra città vengano realizzate campagne istituzionali che trasmettono l’immagine delle donne come soggetti deboli, da scortare, da proteggere, mancanti e insicure, a cui propinare fantomatici "braccialetti" elettronici dotati di  localizzatore gps con cui chiedere soccorso.
A proporre questa iniziativa è Riprendiamoci la politica: un gruppo che vuole ripartire dal dialogo tra donne e uomini di generazioni, storie e culture politiche diverse, per costruire una sinistra plurale e unitaria, aperta all’innovazione culturale, capace di cimentarsi con le sfide del governo e che riapra spazi reali di partecipazione e democrazia. Siamo un’associazione autonoma e tuttavia vicina a Sinistra Ecologia Libertà, perché consideriamo questo partito un’occasione e uno strumento per partecipare ad una fase nuova della politica locale e nazionale.
La politica che vogliamo riprenderci si costruisce con il sostegno ai servizi pubblici, alla formazione, ai centri antiviolenza e a tutte le associazioni che dal basso promuovono una cultura dell’accoglienza, del rispetto. Comincia dal dialogo tra donne e uomini perché è arrivato il momento di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte del maschile. Non possono più essere solo le donne a dire che il corpo femminile è negato con la violenza, considerato un mero oggetto di scambio e rimosso da ambiti decisivi del potere: nella politica, nell'accademia, nell'informazione, nell'impresa.

Cominciamo dal dialogo tra donne e uomini perché vogliamo promuovere immaginari e narrazioni che raccontano un’altra idea di relazione tra i sessi e un modello accogliente e plurale di società.
Vi aspettiamo, le nostre riunioni si svolgono a Roma, un paio di volte al mese e sono totalmente aperte. Fateci sapere e vi contatteremo per le prossime!

domenica 24 luglio 2011

un posto sicuro ?

La giunta Alemanno ha preso negli ultimi tempi diverse iniziative che strumentalizzano la violenza maschile contro le donne per alimentare politiche di militarizzazione della città e spinte xenofobe.

Tra le ultime la pubblicazione di un “vademecum per la sicurezza delle donne” che ripropone l’immagine di donne deboli e da proteggere, a cui si consiglia di non vestire in modo vistoso, di dotarsi di un dispositivo di allarme (con annessa promozione commerciale), di non girare da sole di sera.
Questi suggerimenti non valgono anche per la violenza omofoba che ha segnato la nostra città e rimuovono la violenza che si verifica ad opera di mariti, fidanzati, datori di lavoro, colleghi, insegnanti…

Vi proponiamo di costruire una iniziativa in piazza per MERCOLEDI 27 DALLE ORE 19ALLE 20.30 per contrastare queste iniziative e per riaffermare una diversa cultura della città e delle relazioni tra i sessi.

Vorremmo la vostra partecipazione come gruppi, associazioni, collettivi, singole e singoli. Per costruire l'iniziativa, promuoverla e farla vivere.

Pensiamo non ad un volantinaggio ne’ ad un’assemblea: vorremmo “portare in piazza” fisicamente una diversa rappresentazione della violenza maschile contro le donne: un divano con accanto una lampada e con un uomo "per bene che picchia solo la sua donne” e una donna "al sicuro perché resta in casa e non si fa notare”.
Circonderemo la coppia sul divano con un muro o un velo da abbattere o lacerare. Chiediamo a tutte e tutti di contribuire costruendoun pezzo di muro, portando scatole con sopra attaccati testi e storie.

Di seguito una bozza del volantino per promuovere l'iniziativa.

Vi preghiamo di segnalarci la vostra disponibilità a partecipare e l’eventuale adesione come gruppi o associazioni.
.....
Caro Sindaco, la violenza maschile contro le donne non è una questione di ordine pubblico, non si combatte alimentando politiche securitarie e insicurezza o militarizzando le strade.
La retorica dell'emergenza e della diffidenza verso lo straniero nasconde la "normalità" della violenza degli uomini contro le donne in famiglia: l'aggressore ha le chiavi di casa.
Le donne non sono soggetti deboli da scortare, da proteggere e a cui propinare fantomatici "braccialetti" elettronici dotati di localizzatore gps con cui chiedere soccorso.
Noi abbiamo un’altra idea di sicurezza e libertà: vogliamo una cultura rispettosa della differenze, non una cultura della paura e dell'odio.

lunedì 27 giugno 2011

6 LUGLIO ORE 18.30
 Circolo Sinistra Ecologia Libertà Esquilino - Via Galilei 57, Roma
             
Sarò stata SEL
Proiezione del video Cara SEL, ti parlo… dibattito e aperitivo

Cara SEL, ti parlo… raccoglie le interviste registrate durante la festa cittadina di Sinistra Ecologia Libertà, Caracalla in festa: abbiamo chiesto a ogni partecipante di giocare con alcune parole per raccontare la sinistra che sogna, che inventa o che vorrebbe dimenticare. Il risultato è  una sorta di video bacheca, con appunti sulla sinistra del passato e quella del futuro, schizzi di storie, parole, sogni e proposte lasciati da adulti e bambini, militanti, passanti e responsabili di incarichi politici. Il video racconta un grande bisogno di una politica che si riconnetta alla vita e al quotidiano. Ma dalle interviste emerge anche la delusione verso la sinistra, la distanza dalle forme politiche esistenti e le difficoltà che incontriamo nella condivisione di domande e punti di vista frammentati.

Prenderemo spunto dalla proiezione per confrontarci sul futuro di SEL.  Abbiamo invitato a parlarne con noi: 
Fulvia Bandoli, Adriano Labbucci, Ileana Piazzoni, Luca Sappino, Patrizia Sentinelli, Maurizio Zammataro

Le questioni sulle quali vorremmo ragionare assieme sono:

1) SEL, nata con l'ambizione di andare oltre le tradizionali forme partito, può costruire strumenti condivisi per leggere e cambiare la realtà attraverso una pratica di ascolto reciproco?
2) Il governo della destra mostra la sua crisi: come costruiamo una nuova proposta che sia vicina ai movimenti, alla ricchezza delle esperienze sociali e sia credibile nella prova del governo?

Abbiamo scelto di intitolare l’incontro Sarò stata SEL. Il futuro anteriore indica eventi ed esperienze compiute, ma che si trovano nell'ambito dell'avvenire. L'uso di questa forma verbale ci permette di includere nel futuro il passato e quindi anche il presente, evocando una dimensione temporale aperta, da costruire. Uno spazio-tempo denso di opportunità e pieno di volti e corpi che si prendono la parola e invadono la scena….


venerdì 10 giugno 2011

Cara SEL ti parlo... ciak, si gira !

13/14 Giugno - Roma - Caracalla -  Ricominicio da SEL -

Cara SEL, ti scrivo… così avevamo pensato mesi fa questo evento, che da spazio virtuale permanente progettato dal gruppo Riprendiamoci la politica, diventa video box, in occasione della festa cittadina di SEL, e quindi si trasforma in Cara SEL, ti parlo...

Alle Terme di Caracalla tutti/e potranno venire a lasciarci una video-intervista. Il tema è lo stesso che abbiamo proposto ai nostri cybernauti: Qual è la tua politica?

Qual è il vostro punto di vista sulla politica e su come costruire il cambiamento?

... Perché vogliamo che Sinistra Ecologia Libertà cresca e si consolidi permettendo a domande, istanze, intelligenze e storie di (ri)entrare nella politica e di contare. Ci riferiamo ovviamente alla politica nelle istituzioni, nel confronto tra i partiti, e alla politica intesa in senso ampio, quella costruita nella società e nelle relazioni, queste esperienze non sono mai uscite.

Partecipate!

La politica tra potere e libertà - C’è una questione maschile ?

Il 12 Giugno alle ore: 21.00 a Roma - Caracalla - Festa "Ricomincio da SEL"
 
Ne discutiamo a partire dal libro:
“Essere maschi. Tra potere e libertà”

di Stefano Ciccone

con

Cecilia D’Elia
Assessora alla Cultura della Provincia di Roma

Gennaro Migliore
Segreteria Nazionale di SEL

Introduce:
Marina D’Ortenzio
SEL Roma Area Metropolitana - Responsabile Politiche di Genere