lunedì 5 marzo 2012

Il conflitto necessario. Forme e pratiche di lotta nonviolenta dalla Palestina a noi


a cura di Carolina Zincone



In occasione del viaggio in Italia di Manal Al Tamini e Nariman Al Tamini, del Comitato popolare per la resistenza nonviolenta palestinese di Nabi Saleh, in Cisgiordania, l’Associazione per la Pace e il collettivo Riprendiamoci la Politica hanno organizzato un incontro che avevano già in mente da tempo: un’iniziativa politico-culturale sul tema delle forme di lotta nonviolenta, a partire dall’esempio palestinese.
Erano mesi che ci si pensava su, soprattutto prima, durante e dopo la manifestazione romana del 15 ottobre 2011, quando le ragioni che l’avevano promossa erano state mortificate dagli esiti violenti fomentati da alcuni manifestanti nell’inefficienza delle forze dell’ordine.
Da allora, avevamo fatto alcuni tentativi, anche in sedi politiche, per discutere dell’accaduto e per provare a ricostruire un’idea e una pratica della nonviolenza attiva, capace di rompere la subalternità alle culture militariste. Ma ci è voluto del tempo per concretizzare l’evento: c’è voluta, probabilmente, la presenza di due figure straordinarie come Manal e Nariman. C’è voluta l’adesione di don Nandino Capovilla, Coordinatore nazionale di Pax Christi da sempre attento ai temi della della pace e della gestione pacifica dei conflitti. C’è voluta, va detto, l’ospitalità dell’Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallino, la più antica istituzione italiana di studi e ricerche sul mondo arabo-islamico moderno e contemporaneo.
Tutto questo ci è voluto per superare i tabù che, incredibilmente, accompagnano ancora un argomento così “pacifico” come dovrebbe essere quello della nonviolenza. Rifiutiamo la retorica della violenza frutto inevitabile della rabbia e del disagio, perché rifiutando la violenza si spiegano le ragioni della rabbia e del disagio. Per questo abbiamo voluto discutere insieme di “buone pratiche” di conflitto, oltre la semplice “manifestazione” ma senza elmetti in testa. Perché lo scontro violento non è l’unica forma possibile di dissenso e ce lo dimostra chi, in Palestina, per esistere ha scelto e pratica da anni forme di resistenza nonviolenta all’occupazione militare israeliana e alle continue violazioni dei diritti umani, sociali e politici messe in atto dal governo israeliano.
Durante l’iniziativa del 13 febbraio Manal e Nariman hanno deciso che le immagini avrebbero spiegato meglio di qualsiasi parola quello che il loro popolo, la loro famiglia, i loro figli, subiscono quotidianamente per mano dei coloni e dei militari israeliani. Abbiamo visto e commentato le incursioni notturne nelle loro case, l’arresto di bambini, l’uccisione del cugino. Ma il messaggio che ne è venuto fuori è stato chiaro: per sconfiggere questa situazione non servono le armi, ma la conoscenza, l’informazione e, di conseguenza, il sostegno internazionale.
L’emozione è stata forte, la partecipazione decisamente sentita, forti gli applausi, solo posti in piedi. Sullo sfondo, dopo il video sulle violenze subite dagli abitanti di Nabi Saleh e a contrasto con queste, una serie di “fotografie nonviolente” che avevamo chiesto a tutti gli invitati di mandarci. Una bella lezione per quelli di noi che provano ancora imbarazzo quando si tratta di schierarsi sul fronte della nonviolenza. Perché la radicalità non si dimostra con la violenza, ma andando alla radice delle cose, con la forza delle idee.

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